E' esploso in questi giorni un caso letterario che parla di dinamiche aziendali nel campo della "gestione" o "non gestione" delle risorse umane. E' la storia di un HR manager alle prese con i licenziamenti, le lamentele, le richieste di aumenti di stipendio, che in modo meccanico e distaccato affronta la gestione delle persone e le sue giornate lavorative. Parlo di #risorseinumane di Denis Muraro. E' apparenza, ne parlo più avanti.

Come gestore di risorse e osservatore di dinamiche aziendali non può non interessarmi analizzare che cosa trasformi un'esperienza quotidiana in azienda, quasi ovvia per chi l'azienda la vive ogni giorno, descritta peraltro in modo semplice e diretto, in un caso di "rottura" letteraria e di costume.

Quello che mi spinge a riflettere è che le dinamiche aziendali descritte, dal licenziamento, alle riunioni, ai rapporti con i sindacati, un po' romanzate ma credibili, siano state considerate da quasi tutti i lettori dirette e "ciniche", apprezzando al contempo che qualcuno ne scrivesse.

Come se fossimo alla ricerca di una voce che dica quello che noi, in azienda, non abbiamo il coraggio di dire.

Chi ha vissuto l'azienda da dentro sa bene che il libro descrive una verità dura e folle, che a leggerla fa anche sorridere, inspiegabilmente accettata a tutti i livelli manageriali pur di conservare il riconoscimento sociale e il proprio ruolo.

Ed è questo che ha decretato il successo del libro.

D'altro canto sono anche attenta a ciò che di non detto emerge dalla scrittura, e quindi noto come chi scrive, che svolge nella vita il ruolo che narra nel libro, sia innamorato di un'altra parte del suo lavoro, quella in cui, anzichè licenziare le persone, ne sviluppa il talento, credendo fino in fondo all'utilità e al ROI della formazione aziendale.

Più che di "cinismo", parlerei di amore per questo lavoro e di delusione, rispetto ad un capitale così importante come quello umano talvolta poco valorizzato, e rispetto ad un ruolo, l'HR manager appunto, che negli organigrammi è stato spesso messo al servizio di altre funzioni aziendali che trainano maggiormente il risultato economico.

Riflettendo sul come mi sono vissuta a lungo in questo ruolo, posso dire con il passo della storia che non mi è piaciuto licenziare le persone, o spostarle di ruolo, o ancora non confermarle. Anche se convinta che fosse la decisione migliore per il bene dell'azienda, e anche se in alcuni casi davvero imprescindibile, ho sempre cercato di farlo nel modo più delicato possibile. Oggi so che non esiste un modo delicato per fare a meno di una persona, che sia una relazione affettiva o professionale. Il taglio è sempre un momento difficile da digerire sia per chi lo fa, sia per chi lo riceve. Non c'è chi pensi di essere inadeguato al suo lavoro, per cui risulta quasi impossibile comprendere le logiche che portano a fare a meno di qualcuno. E' umano non avere consapevolezza di essere fuori fuoco rispetto agli obiettivi, può essere tenuto in considerazione, ma non può certamente fermare le scelte aziendali.

Quello che ho amato del ruolo è stato invece dare possibilità, lavorare sui percorsi di carriera e sul talento delle persone, aiutarle ad andare oltre i propri confini, talvolta spingendole verso direzioni sfidanti che anche per paura non volevano prendere. E non so se ho fatto bene o no. So che l'ho fatto credendoci e con passione. Spero che per qualcuno sia stata un'opportunità. Per me lo è stata credere in loro.

Se vedi il talento non puoi ignorarlo, la tua missione è valorizzarlo. E credere fino in fondo a quello che vedi e che senti.

E' questa parte di quel lavoro che mi è rimasta cucita addosso, la parte in cui immagini scenari possibili, persone realizzate, aziende e capi illuminati, e agisci concretamente ogni giorno per renderlo possibile.

Oggi le risorse umane cambiano, cambia il modo di lavorare in smartworking e di vivere l'azienda, cambia il modo in cui monitorare il lavoro di ognuno.

Davvero siamo convinti che ancora sarà possibile stringere l'orario di lavoro nelle otto ore previste dai contratti collettivi? Che sarà quello descritto nel libro il modo che nel futuro avremo per costruire un'identità condivisa all'interno delle aziende? Che i millennials possano essere motivati nello stesso modo dei loro genitori? Che lavorare da casa con i figli nell'altra stanza sia fattibile a lungo?

Il mondo delle risorse umane cambia, le aziende che restano aggrappate al passato, a ciò che finora aveva funzionato, cercando di farlo funzionare ancora, magari adattando modalità superate ad un futuro diverso, sono destinate a perdere quota e a fallire.

Dovremo inventare nuovi lavori, ma anche, e certamente, nuovi contratti di lavoro, nuovi modi di comunicare i progetti da realizzare.

In sintesi, creare nuova leadership, che sarà il vero collante di ogni progetto aziendale presente e futuro.

Le persone amano sentirsi ispirate, non guidate.

Le regole lasceranno spazio a organizzazioni più fluide, in cui la responsabilità del singolo produce risultati migliori, in aziende meno gerarchiche e strutturate, ad alto impatto tecnologico.

Sarà la nuova leadership il motore del cambiamento.

E allora, da dove partiamo per ispirare le nuove risorse umane?