Questo articolo ha radici lontane. Era da tempo in bozza il suo titolo su Linkedin, era ora di scriverlo.

Nei giorni scorsi ho partecipato ad un webinar tenuto da una famosa scuola di coaching, lo guidava proprio il mio coach di tanti anni fa, quando decisi di iscrivermi, era il 2007, al mio primo master di coaching.

Dal webinar, sul coaching sistemico dei gruppi, è emersa una domanda nel pubblico :“Può un manager essere anche un coach con il suo team”?.

Non avrei immaginato che questa potesse essere ancora oggi una domanda aperta, e mi ha colpito quel “può” come se fosse un permesso da ricevere, rispetto ad alcune metodologie precise utilizzate nel coaching.

Per comprendere come mai questo argomento mi accende, racconto brevemente come andò il mio colloquio di selezione al master.

Buongiorno, cosa fa nella vita?

Sono una manager.

Sa che questo è un problema, perché un manager guida i team mentre un coach fa emergere il potenziale spontaneamente?

Cominciamo bene, pensai.

Intuivo che in me i due lati erano contemporaneamente presenti, del resto la metodologia del coaching, la sua stessa definizione, oggi abusata in molti ambiti, non erano molto conosciuti nel 2007 in Italia, quindi perché non seguire l’istinto e andare avanti?

Volevo sperimentare quel percorso e rimasi. Fu difficile come tutte le esperienze di crescita, e molto nutriente. Scoprire i propri punti di ombra e di luce è disruptive.

Negli anni successivi sperimentai nei team nel continuo il fatto di essere leader decisionale, ma anche di far emergere il potenziale, soprattutto dei collaboratori meno ambiziosi.

Per me era tutto sostanzialmente irrinunciabile. Guidavo e crescevo persone. Dedicavo molto tempo a questo, era un impegno non richiesto dall’azienda, anzi talvolta nemmeno compreso, e quindi era poi necessario recuperare i tempi per raggiungere gli obiettivi comunque stringenti.

Ora che tutto si è amplificato, e il ruolo delle risorse umane e l’unità delle aziende sono diventati sempre più importanti per reagire agli effetti della pandemia, sono consapevole di aver deciso per me e non per gli altri, di aver creduto nelle mie possibilità, nel mio intuito e nella mia natura.

La risposta, che per sbaglio ho pronunciato nel webinar a microfono aperto, perché lo dicevo a me stessa, tanto mi veniva dal cuore, è stata: “Si certo, un manager ha da essere anche un coach”.

Può, quindi deve.

Perché la volontà di far crescere anche gli altri mentre li guidi non ha prezzo, quando ti guardi indietro.

E certamente un coach professionista lo fa, da esterno, da esperto osservatore di dinamiche, da miglior conoscitore della tecnica, dei principi etici di comportamento nello svolgimento del suo lavoro, ma un manager può permettersi oggi di non essere contemporaneamente “in piazza e al balcone”con il suo team?.

Oggi è il tempo di essere generosi, di aiutare anche gli altri a trovare nuove opportunità; essere allenati, da coach, può fare la differenza.